Intervento della Senatrice Gallone per l’equiparazione dei diritti dei figli (DDL 2805)

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RICONOSCIMENTO DEI FIGLI NATURALI
(intervento della relatrice, Sen. Alessandra Gallone)

Signora Presidente, signor Sottosegretario, onorevoli colleghi, era appena finita la guerra quando a teatro, nel corso della rappresentazione di una delle opere più belle mai scritte da Eduardo De Filippo, risuonò una frase, pronunciata dal personaggio di Filumena Marturano, per la prima volta, quella piccola grande verità di cui oggi, dopo quasi settant’anni, ci troviamo ancora a trattare: «I figli sono figli». Infatti non importa da chi siano nati, se da genitori sposati o conviventi, se da genitori adulteri. Non importa se siano stati adottati. In qualunque caso, sono figli. E a loro, solo a loro, e alla loro salvaguardia e alla salvaguardia dei loro diritti, in maniera assolutamente equanime, dobbiamo pensare. Oggi purtroppo non è ancora così. Ancora oggi i figli non sono «perfettamente» uguali davanti alla legge e i figli naturali e adottivi non hanno gli stessi diritti di quelli legittimi. Ancora oggi ai figli naturali e adottivi non è riconosciuto il medesimo stato giuridico di quelli legittimi. Ad esempio, non vengono loro riconosciute le parentele collaterali ma solo quelle in linea diretta, con tutto ciò che ne consegue, per esempio in termini di diritto successorio. Non sono differenze di poco conto. Anzi, a volte comportano conseguenze paradossali, come per i bambini nati dagli stessi genitori, non sposati, che non sono fratelli perché quella fra fratelli è una parentela collaterale. Le differenze sono tante e gli episodi che vedono come protagonisti figli ai quali non vengono riconosciuti i propri diritti sono molteplici. E non sono situazioni isolate visto che la nostra società è in continua evoluzione anche dai punto dì vista familiare. Secondo i dati forniti dall’ISTAT: un bambino su quattro nasce da coppie non sposate, il doppio di dieci anni fa; la presenza dei figli riguarda il 49,7 per cento delle coppie non coniugate (nel 36,4 per cento dei casi si tratta di figli di ambedue i partner, nel 6,5 per cento dei figli di uno solo dei due e nel 6,9 per cento di figli sia di uno dei partner che di ambedue); i minori che vivono in coppie non coniugate sono 572.000 e vivono nel 44,1 per cento delle coppie non coniugate; nel corso del 2011 la Commissione per le adozioni internazionali ha rilasciato l’autorizzazione all’ingresso in Italia per 4.022 bambini provenienti da 57 Paesi, adottati da 3.154 coppie italiane. È arrivato il momento di procedere con un cambiamento normativo. È arrivato il momento di trovare concrete soluzioni per i figli di questa società. Con il progressivo aumento delle separazioni e dei divorzi e la diffusione delle coppie di fatto, penso che eticamente, oltre che giuridicamente, abbiamo il dovere di fornire ai minori una tutela a 360 gradi. Ciò non significa svalutare il nucleo tradizionale della famiglia, nella maniera più assoluta. Stiamo parlando di figli, solo di figli e dei loro diritti. Anche per le forze politiche che da sempre hanno posto al centro del loro programma la difesa della famiglia, come da dettato della nostra Costituzione all’articolo 29, è chiarissimo, però, quanto sia opportuno e non più procrastinabile oggi un cambiamento sostanziale che consenta di dare piena attuazione agli altri sacrosanti principi, anch’essi cristallizzati nella nostra Costituzione, negli articoli 3 e 30, nonché di adeguarci a direttive comunitarie che non possono essere più disattese. La salvaguardia del diritto dei figli supera tutto, me lo sentirete ripetere tante volte nel corso della mia relazione. D’altra parte, è dalla riforma del diritto di famiglia del lontano 1975 che gli operatori del diritto hanno avvertito l’esigenza di ultimare il processo di equiparazione dello stato giuridico dei figli, nonché di definire in maniera netta l’esercizio della potestà genitoriale in caso di crisi del nucleo familiare. Molteplici sono stati i tentativi portati avanti nelle varie legislature per risolvere un’annosa questione che ha una valenza sociale e morale, oltre che giuridica; tentativi che purtroppo si sono arenati puntualmente all’interno delle Commissioni parlamentari nel corso delle varie legislature che si sono susseguite fino ad ora. Oggi è finalmente arrivato il momento di voltare pagina. Siamo di fronte a quella che non faccio fatica a definire una riforma epocale, una vera e propria rivoluzione. Siamo di fronte ad una riforma che cambierà un assetto. Stiamo discutendo oggi un provvedimento di civiltà. La Commissione giustizia, lo scorso 3 maggio, ha concluso l’esame del disegno di legge n. 2805, il quale, già approvato dalla Camera dei deputati, si propone, in attuazione dei principi costituzionali, di adeguare il diritto di famiglia al mutato contesto storico-sociale, in particolare eliminando dall’ordinamento giuridico le residue distinzioni tra status di figlio legittimo, nato in costanza di matrimonio e status di figlio naturale, nato al di fuori del matrimonio. Nel disegno di legge, con l’espressione «figlio naturale» si comprendono i figli generati da coppie non coniugate; quelli adulterini, cioè quelli nati da coppie nelle quali uno dei due genitori era coniugato con altra persona ed infine, in seguito ad una modifica apportata in sede referente, quelli incestuosi. L’esigenza di un intervento legislativo per giungere ad una filiazione «senza aggettivi» è ormai ineludibile se si considera il significativo mutamento sociale che ha interessato il Paese dal 1942 ad oggi. È sufficiente pensare, da un lato, al superamento, con la legge sul divorzio, del dogma dell’indissolubilità matrimoniale a livello civile e al diffondersi della famiglia di fatto e, dall’altro, all’impatto che la scoperta del DNA ha avuto sul riconoscimento della paternità segnando la fine di quella putativa a favore di quella biologica. Più in generale, il disegno di legge si ripartisce in sei articoli: il primo disciplina le nuove disposizioni in materia di filiazione; il secondo prevede una delega al Governo perché, con uno o più decreti legislativi, modifichi le disposizioni vigenti per «eliminare ogni discriminazione tra figli, anche nel rispetto dell’articolo 30 della Costituzione»; il terzo, relativo alle disposizioni di attuazione del codice civile, introduce modifiche all’articolo 38, ridefinendo le competenze fra tribunali ordinari e tribunali dei minorenni in materia di procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli; gli ultimi tre articoli recano disposizioni transitorie, regolamentari e fiscali. Se passiamo alla disamina delle singole disposizioni, alla luce delle modifiche apportate nel corso dell’esame in sede referente dalla Commissione, si evince, nell’ambito delle modifiche apportate dall’articolo 1 al codice civile, il riscontro dell’equiparazione del figlio nato fuori dal matrimonio con il figlio legittimo e il mutato concetto di parentela, regolato dall’articolo 74. Esso è costituito dall’estensione del vincolo, nel senso che «il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite» si applica sia nel caso che la filiazione sia avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui la filiazione si sia verificata al di fuori del matrimonio, sia infine nel caso di adozione di minorenni, cioè di figli adottivi minorenni, con espressa esclusione dell’azione di figli maggiorenni ex articoli 291 e seguenti (commi 1 e 3). Un ulteriore significativo intervento è costituito dalla modifica in tema di effetti del riconoscimento dell’articolo 258 del codice civile, coordinato con il nuovo articolo 74, per il quale il riconoscimento del figlio non produce effetto solo nei confronti del genitore «da cui fu fatto», ma anche «riguardo ai parenti di esso». Il comma 2 dell’articolo 1, poi, interviene sull’articolo 250 del codice civile, stabilendo l’abbassamento da 16 a 14 anni dell’età a partire dalla quale il riconoscimento del figlio non produce effetto senza il suo assenso (e correlativamente dell’età al di sotto della quale il riconoscimento non può avere effetto senza il consenso dell’altro genitore). La norma, inoltre, integra il comma quarto dell’articolo 250 del codice civile, il quale reca la disciplina processuale prevista nei casi di rifiuto del consenso da parte del genitore. Nel corso dell’esame in Commissione, in seguito all’approvazione dell’emendamento 1.1, a firma del senatore Saltamartini, sono state apportate modifiche anche all’articolo 251 del codice civile, in materia dì riconoscimento dei figli incestuosi, volte a consentire anche ad essi l’acquisizione dello status filiationis. La Commissione ha poi ritenuto, con l’approvazione degli identici emendamenti 1.2, della senatrice Allegrini, e 1.3, della senatrice Della Monica, di sopprimere l’originario comma 4 dell’articolo 1 del disegno di legge, il quale apportava modifiche all’articolo 262 del codice civile, prevedendo che il figlio naturale potesse assumere il cognome del padre aggiungendolo (e non più sostituendolo) a quello della madre. La ratio di tale soppressione è da rintracciarsi nell’esigenza di evitare che, nel caso di coppie non coniugate, si determini una paradossale discriminazione fra i figli nati e riconosciuti in base alla legislazione vigente, che consente – come è noto – anche la sostituzione del cognome paterno a quello della madre, e i nascituri per il cui riconoscimento troverebbe applicazione la nuova disciplina che, nel testo della Camera, prevede la sola aggiunta del cognome paterno. Al fine di ovviare a un evidente vuoto normativo, il comma 5, introdotto dall’emendamento 1.1000 che ho presentato come relatrice, attraverso la novella all’articolo 276 del codice civile, interviene in materia di legittimazione passiva rispetto alla domanda di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, regolando il caso in cui, morto il genitore, siano venuti meno anche i suoi eredi, parimenti legittimati passivi rispetto alla domanda. Al riguardo, è bene ricordare che, in base alla normativa vigente, risolvendo un contrasto giurisprudenziale, le Sezioni unite della Cassazione, in una sentenza del 2005, hanno escluso la legittimazione passiva degli eredi degli eredi; a tali soggetti spetterebbe solo la possibilità di intervenire nel procedimento ai sensi dell’articolo 276, secondo comma, del codice civile. Il testo novellato stabilisce che, in tale evenienza, il figlio naturale può proporre l’azione nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. Il comma 6 dell’articolo 1 del disegno di legge, poi, integra la rubrica del titolo IX con il richiamo ai diritti e doveri del figlio. Il comma 7 riscrive l’articolo 315 del codice civile, sancendo il principio dell’unicità dello stato giuridico dei figli. Strettamente collegata a tale modifica è la previsione di cui al comma 8, la quale prevede l’introduzione di uno specifico articolo (315-bis del codice civile) sui diritti e doveri del figlio. Tale norma stabilisce il diritto del figlio di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni; il diritto del figlio di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti; il diritto del figlio minore, che ha compiuto i 12 anni, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano; il dovere del figlio di rispettare i genitori e di contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa. Il comma 9 introduce nel codice una nuova norma, l’articolo 448-bis, il quale sottrae i figli dall’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti nei confronti del genitore decaduto dalla potestà. Il comma 10, confermando la volontà di eliminare ogni qualificazione o distinzione del rapporto di filiazione, reca l’abrogazione delle disposizioni sulla legittimazione dei figli naturali, di cui alla sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile. Il comma 11 dell’articolo 1, infine, ribadisce il principio cardine della riforma, prevedendo la sostituzione delle parole «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrano nel codice, con la parola: «figli». L’articolo 2 conferisce un’ampia delega al Governo per la modifica delle disposizioni in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità, per eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell’articolo 30 della Costituzione, sulla base del principio dell’unicità dello stato giuridico dei figli e dei principi relativi ai diritti e ai doveri del figlio. I princìpi e criteri direttivi prevedono in primo luogo la sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai «figli legittimi» e ai «figli naturali» con riferimenti ai «figli», salvo l’utilizzo delle denominazioni di «figli nati nel matrimonio» o di «figli nati fuori dei matrimonio» quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative. I vari numeri della lettera b) del comma 1 recano, poi, la risistemazione della divisione in capi del titolo VII dei libro primo, che assume la rubrica «Dello stato dì figlio», anche al fine di adeguarla all’abrogazione delle disposizioni sulla legittimazione. La lettera c) prevede la ridefinizione della disciplina del possesso di stato e della prova della filiazione, prevedendo che la filiazione fuori del matrimonio può essere giudizialmente accertata con ogni mezzo idoneo. La lettera d) indica, fra i criteri di delega cui il Governo deve attenersi, l’estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio e la ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità nel rispetto dei principi costituzionali. In riferimento a tale lettera è stato approvato, nel corso dell’esame in Commissione, l’emendamento 2.1000, che ho presentato come relatrice, volto a sopprimere l’improprio richiamo alla «identità di legittimati attivi, di termini e di rito». La lettera e) impone la modificazione della disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, prevedendo l’adeguamento della disciplina sull’inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia di uno dei genitori al principio della unificazione dello stato di figlio, demandando al giudice la valutazione di compatibilità con i diritti della famiglia legittima ed estendendo il principio dell’inammissibilità del riconoscimento a tutte le ipotesi in cui il riconoscimento medesimo è in contrasto con lo stato di figlio riconosciuto o giudizialmente dichiarato. Ai sensi della lettera f), poi, si prevede l’abbassamento dell’età del figlio minore da 16 a 14 anni ai fini dell’impugnazione del riconoscimento, previa autorizzazione giudiziale e nomina di un curatore speciale, e ai fini del consenso all’azione per la dichiarazione di paternità o maternità esercitata dal genitore o dal tutore. La successiva lettera g) indica, fra i criteri direttivi, la limitazione dell’imprescrittibilità dell’azione di impugnazione del riconoscimento solo al figlio e l’introduzione di un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione da parte degli altri legittimati. Ai sensi della lettera h), poi, si prevede l’unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli nati fuori del matrimonio. Fra gli ulteriori criteri si segnalano, la disciplina delle modalità di esercizio del diritto all’ascolto del minore che abbia adeguata capacità di discernimento, precisando che, nell’ambito di procedimenti giurisdizionali, ad esso provvede il presidente del tribunale o il giudice delegato; l’adattamento del sistema di diritto internazionale privato al principio della unificazione dello stato di figlio (lettera m)); la specificazione della nozione di abbandono, con riguardo alla mancanza di assistenza da parte dei genitori e della famiglia che abbia determinato una situazione di irreparabile compromissione della crescita del minore, fermo restando che le condizioni di indigenza non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia (lettera n)); la segnalazione ai comuni da parte dei tribunali per i minorenni delle situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedano interventi di sostegno e previsione dei controlli che il tribunale dei minorenni effettua sulle situazioni segnalate agli enti locali (lettera o)); la legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori (lettera p)), cioè il diritto dei nonni. Nel corso dell’esame in Commissione è stata invece modificata dall’emendamento 2.5 (a prima firma della senatrice Spadoni Urbani) l’attuale lettera l), la quale prevede l’adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio. Tale norma è stata integrata nel senso di prevedere, anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina che garantisca la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento, con conseguente estensione delle eventuali azioni petitorie. La delega deve essere esercitata entro 12 mesi dall’entrata in vigore dalla legge, previo parere delle Commissioni parlamentari, che si esprimono nel termine di due mesi. È altresì prevista la potestà del Governo di adottare, entro un anno dall’entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, decreti integrativi o correttivi. Nel corso dell’esame in Commissione è stato poi, integralmente riscritto l’articolo 3 del disegno di legge, il quale, nella formulazione licenziata dalla Camera dei deputati, introduceva nel codice di rito un nuovo procedimento per l’affidamento dei figli di genitori non coniugati, attribuito alla competenza del tribunale dei minorenni, di cui si disciplinava la forma della domanda, la comparizione personale delle parti, i poteri del giudice, la possibilità di emettere provvedimenti temporanei ed urgenti, l’istruttoria, il dato significativo dell’ascolto del minore sia se dodicenne sia se infradodicenne ma capace di discernimento, il provvedimento finale, nonché le impugnazioni e le modificabilità. Con l’emendamento 3.1 (a prima firma del senatore Berselli) la Commissione ha voluto eliminare questa disparità «di natura processuale» per la quale è individuato un diverso giudice competente a seconda che il figlio sia nato all’interno o al di fuori del matrimonio. II nuovo articolo 3, attraverso l’espunzione dal testo dell’articolo 38 delle disposizioni attuative del codice civile del riferimento all’articolo 317-bis del codice civile, sottrae al tribunale per i minorenni e, quindi, attribuisce al tribunale ordinario, la competenza sulle controversie relative all’esercizio della potestà e all’affidamento anche dei figli naturali. Inoltre, attraverso la soppressione dei relativi riferimenti normativi, viene riconosciuta al tribunale ordinario la competenza nelle seguenti materie: cessazione del fondo patrimoniale, costituzione dell’usufrutto sui beni di un coniuge in relazione alle necessità della prole; riconoscimento dei figli naturali; dichiarazione giudiziale di paternità o maternità; esercizio della potestà dei genitori. Con riferimento poi all’adozione da parte del giudice di provvedimenti in presenza di una condotta del genitore pregiudizievole ai figli, viene confermata la competenza del tribunale per i minorenni, salvo che sia in corso un procedimento di separazione o divorzio o in materia di esercizio della potestà genitoriale, nel qual caso la competenza è attribuita al giudice ordinario. L’emendamento è intervenuto incisivamente, per ovvie ragioni di coordinamento, anche sulle disposizioni transitorie di cui all’articolo 4. Nessuna modifica è stata infine apportata alle ultime due disposizioni del disegno di legge. L’articolo 5, al comma 1, demanda ad un regolamento governativo per le necessarie e conseguenti modifiche alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, mentre al comma 2 si prevede una modifica dell’articolo 35 del decreto da ultimo ricordato relativo al nome. L’articolo 6 reca infine la clausola di invarianza finanziaria. Cari colleghi, io ho concluso la mia relazione. Ora mi auguro che, insieme, riusciremo ad approvare questo provvedimento importantissimo, tanto atteso in nome di tutti i figli italiani. (tratto dal sito www.senato.it)

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