Considerazioni generali sullo status quo del Diritto di Famiglia

E’ ormai sotto gli occhi di tutti lo stato in cui versano le famiglie dei separati / divorziati e, soprattutto, il totale fallimento dell’applicazione – e lo sottolineiamo: dell’applicazione! – della legge 54/2006.

Fin troppo palese è stata la strenua resistenza “di casta” messa in campo da chi, tale legge dello Stato, avrebbe dovuto non solo recepirla immediatamente ma anche impegnarsi per farla rispettare. E questo “farla rispettare” sarebbe stato davvero l’unico, vero e supremo “interesse del minore”!

L’incomprensibile ostinazione nel continuare a privilegiare un genitore rispetto all’altro, come se si trattasse dell’unica soluzione possibile per “tutelare il minore”, la si rileva tuttora nelle affermazioni di alcuni politici, magistrati, membri dell’avvocatura e rappresentanti di altri organismi (es: servizi sociali).

Ridondante è la parabola del “Re Salomone” o, ancora meglio, la teoria del “pacco postale” volendo, con questa espressione, indicare come dannoso il presunto spostamento del minore dalla casa di un genitore alla casa dell’altro genitore. Curiosamente però, da parte degli stessi operatori del diritto, ferrei sostenitori di quanto sopra, non si ravvisa alcun atteggiamento di condanna quando, ad esempio, capita che sia la madre a muoversi geograficamente (anche mettendo centinaia di km di distanza tra lei e l’ex marito). Altro argomento utilizzato, spesso e volentieri, è quello dei “trattati di pedagogia” nei quali si enuncerebbe il principio secondo cui ogni bambino, per crescere sano ed equilibrato, “deve stare con la sua mamma”.

Noi rilanciamo chiedendo dove, in quale pagina e in quale paragrafo, in questi stessi trattati viene esplicitamente detto che l’assenza della figura paterna, per il bambino, costituisce un “bene”, ovvero un fattore positivo per il suo sviluppo psico-fisico. Ben altri studi evidenziano, invece, una diversa visione1.

Ora, questi luoghi comuni, questi pregiudizi, questi tentativi di volersi disperatamente aggrappare all’immagine di una società italiana “arcaica” (immagine ravvisabile, ormai, forse solo nei film di Amedeo Nazzari degli anni ’50) hanno danneggiato e, sempre più, stanno aggravando enormemente il già precario equilibrio dei coniugi separandi-ti / divorziandi-ti con prole.

Ad oggi, la verità è ben altra: la “PRASSI” giurisprudenziale (non la legge), di fatto, è diventata – forse suo malgrado – complice di chi, da ambo i lati (madre – padre), si comporta male.

La “PRASSI”, in antitesi alla legge (!), offre una magnifica “via di fuga” a quei padri che rifiutano di prendersi le proprie responsabilità. Monetizzare il rapporto paterno, ridurre ad una mera visita di cortesia il dovere genitoriale, consente a questi uomini di “sbrigarsela” in fretta. Così, sempre la “PRASSI”, con le sue maglie strette o larghe a seconda delle convenienze (di tutti, tranne che dei minori) offre una magnifica occasione “per svignarsela” a quei padri che si volatilizzano improvvisamente, cessando di garantire cura e accudimento ai loro figlioli. Ma si rivela, drammatica, per quei padri, tanti, che invece per i figli ci sono.

In alcuni di questi casi, verrebbe da porsi il seguente quesito: sono stati questi padri a scegliere di “sbrigarsela in fretta con uno squallido assegno” o gli è stato imposto da un frettoloso e spietato Tribunale, pregiudizievolmente favorevole tout court alla prevalenza della figura materna rispetto a quella paterna? Questo lo si evince analizzando l’enorme numero di affidi condivisi concessi a cinque anni dal varo della Legge 54/2006, così come citato dal sottosegretario alla Giustizia On. Casellati2. Peccato che poi, scrostando poco a poco, via dalla superficie, la fluorescente vernice della scritta: “CONDIVISO”, emerga chiara la vecchia scritta: “ESCLUSIVO”. Ergo, la verità è ben altra: queste statistiche sul (finto) condiviso altro non sono se non un enorme “bluff” in quanto viene riproposta, pedissequamente, la fallimentare e già superata formula dell’affido monogenitoriale, alias il solito affido esclusivo concesso alla madre nel 99% dei casi, con costei travestita da “genitore prevalente” o “genitore collocatario”. E ancora ci domandiamo: sono stati questi padri “menefreghisti”, di loro iniziativa, a “scegliere di svignarsela” o, ad un certo punto, esasperati e ridotti sul lastrico, abbandonati da un “Diritto” che viene applicato solo se il contendente è di sesso femminile, sono stati costretti a “mollare il colpo” a causa delle cattiverie, delle eccessive richieste economiche, degli abominevoli sensi di colpa usati contro di loro dalle ex consorti / compagne, arrivando ad obnubilare il loro ruolo pur di non impazzire di fronte all’idea di perdere un figlio?

Noi non intendiamo in alcun modo trovare delle scusanti a questi padri, ma esigiamo che chi siede sullo scranno di un tribunale si impegni maggiormente a studiare, con attenzione e senso di rispetto per il diritto, gli atti giudiziari, per riuscire a valutare situazioni che possono avere, molte volte, una doppia chiave di lettura. Questo, SI, costituirà finalmente l’inizio di un atteggiamento corretto, da parte di chi amministra la Giustizia, verso quei “minori” dei quali si parla tanto. Perché fin troppe volte si è sentito declamare a gran voce all’incirca così: “I padri non sono capaci di badare ai figli perché a loro hanno sempre pensato le madri”. Visione retorica che non guarda né al presente né al futuro. Intanto, a questa affermazione (che non sempre trova riscontro nella realtà poiché i compiti casalinghi – compresa la cura dei figli – sempre più spesso sono equamente distribuiti, nel 2011, tra madre e padre; inoltre, questa ghettizzazione del ruolo femminile, secondo cui una madre è destinata inevitabilmente a diventare niente altro che una sorta di “badante familiare” va respinta con fermezza), noi del Movimento Femminile rispondiamo citando due detti popolari e cioè: “Nessuno nasce imparato” e “La necessità aguzza l’ingegno”.

Tutti abbiamo dovuto sforzarci quando abbiamo iniziato, da piccoli, a camminare, a leggere, a scrivere. Non si capisce perché, anche ad un genitore eventualmente “imbranato”, non debba essere data la possibilità di “imparare”. Certo è che, se questa occasione non gli verrà concessa, non lo sapremo mai!

A noi sembra piuttosto il solito “escamotage” per cavarsela con poco: poco lavoro per il giudice, poco studio della causa per gli avvocati, e così via: un bel ciclostilato pre-compilato e 40 secondi di udienza presidenziale, e al diavolo i diritti dei figli, ignorati e calpestati!

Allo stesso modo, si sente spesso pomposamente affermare quanto segue: “I padri non ottengono l’affido dei figli perché non lo chiedono e soprattutto perché, in quanto uomini, non hanno il tempo e la voglia di avere i figli tra i piedi”. Ammesso e non concesso che vi siano padri non intenzionati a prestare cura e accudimento ai loro figli, va affermato con forza che, ad ogni padre disposto a fare il proprio dovere che abbia consultato un legale, è stato risposto regolarmente: “Se lo scordi” oppure: “Tanto il giudice non glielo concederà mai” fino ad arrivare ad un: “Siamo in Italia. I figli appartengono alle madri. Prima se ne farà una ragione meglio sarà per lei”. C’è stato persino qualcuno che si è spinto a dire: “Dimentichi i suoi precedenti figli, perchè resteranno con la madre per sempre, li consideri come morti. Si rifaccia una vita: se crede, può sempre mettere al mondo altri figli. E’ l’unico consiglio che mi sento di darle”. Lo ribadiamo: chi fa queste affermazioni, scambia la causa con l’effetto!

Ecco, in conclusione, il pessimo risultato della “PRASSI”: agevolare i padri irresponsabili e, allo stesso tempo, punire e penalizzare, ingiustamente, i padri responsabili.

Al contempo la “PRASSI” premia le madri cosiddette “malevole”3: ovvero quelle che non assecondano l’aspirazione naturale dei minori ad incontrare il loro padre, per puro spirito di vendetta, abusando della loro “posizione dominante”; quelle che rovesciano addosso ai loro ex una quantità incredibile di infamanti denunce, al mero scopo di trarne vari benefici, compreso il fatto di screditarli professionalmente e umanamente. La “PRASSI” è sempre morbida, compassionevole, comprensiva verso queste madri che, invece, andrebbero sanzionate duramente per i loro riprovevoli comportamenti. Che, lo ricordiamo, danneggiano in modo grave e permanente la psiche dei minori! La “PRASSI”, ad oggi, non solo non tutela i genitori coscienziosi, ma, cosa molto grave, non tutela affatto il minore!

Un’altra doverosa considerazione va fatta. Premettendo che la maggior parte dei figli viene al mondo per amore, dobbiamo però avere il coraggio anche di guardare con brutalità ad un fenomeno in crescita. Complice tutta una serie di agevolazioni di matrice femminista, dilagano le gravidanze “per caso”.

I casi più eclatanti hanno vivacizzato le cronache dei giornali di gossip: dal famoso calciatore che ha deciso di farsi sterilizzare (per non dover mantenere più figli di questa o quell’altra amante occasionale) fino al recente, ennesimo scandalo che ha visto il Principe di Monaco ad un passo dall’annullamento delle nozze. O ancora il caso della signora che, essendo rimasta incinta dopo essere stata assieme a cinque professionisti “di livello” in diverse serate, chiedeva a tutti il test del DNA per avere la certezza della paternità e per assicurarsi un cospicuo mantenimento. Insomma, si va dal figlio concepito per garantirsi una rendita vitalizia fino al figlio utilizzato per legare a sé un uomo non innamorato, talvolta costretto, suo malgrado, ad un matrimonio “riparatore”. Inoltre: se una donna decide di non volere un bambino, abortisce. Se un padre decide di non volere un bambino… la legge e la madre, tramite il test del DNA, possono comunque obbligarlo a farsene carico. Perchè? Perchè se una madre vuole abortire lo può fare e se un padre semplicemente non ne vuole sapere… la legge lo obbliga a provvedere? Oltretutto, a parti invertite, il padre non ha nessuna voce in capitolo sulla decisione se sia giusto abortire o meno. Se un futuro padre, ad esempio, decide comunque di tenere un figlio, mentre la futura madre decide il contrario, è piena facoltà di quest’ultima “eliminare” il problema. Quindi: in caso di paternità “imposta con l’inganno” la madre ha diritto di ottenere delle compensazioni monetarie (anche se non potrà mai garantire, cosa che dovrebbe far riflettere certe signore, l’affetto sincero di un genitore “casuale”). Inversamente, in caso di mancata paternità “imposta con la forza”, assolutamente nulla spetta al padre defraudato. Nemmeno uno straccio di sostegno psicologico qualora questi cadesse in depressione. Delicata è la questione che, però, esiste.

Pertanto, in questa sede, denunciamo a gran voce la mancata applicazione della Legge 54/2006 nei suoi principi fondamentali ovvero: rapporto equilibrato e continuativo con i genitori, doppia residenza del minore, mantenimento diretto per capitoli di spesa.

La “PRASSI” attualmente in atto ha prodotto le nefaste conseguenze qui sotto elencate:

  1. pesante innalzamento della conflittualità tra ex coniugi, in quanto il coniuge collocatario (nella quasi totalità dei casi: la madre) sempre più si è sentito in “diritto” di assumere atteggiamenti predatori, punitivi e ostativi laddove, la certezza di restare impunito/a, è assicurata da varie condizioni al contorno: a) lentezza dei tribunali b) atteggiamento “minimizzante” da parte dei cosiddetti “operatori del diritto” c) inefficacia delle sanzioni esistenti e/o dei provvedimenti attuati al fine di riequilibrare gli abusi di potere (su tutte, le sanzioni ex art. 388/2 c.p. e art. 709 ter c.p.c.); d) disapplicazione delle norme giuridiche che riconoscono al minore il diritto di stare in giudizio, attraverso un proprio avvocato, o di essere informato di quanto viene discusso e stabilito in suo nome, nonché le conseguenze possibili di tali decisioni (Convenzioni di New York 1989 e di Strasburgo 1996, entrambe recepite con legge ordinaria dallo Stato italiano);
  2. vertiginoso aumento dei casi di genitori non collocatari che vivono sotto la soglia di povertà (data anche la crisi economica in atto dal 2008 ad oggi): nel 99% dei casi si tratta di padri separati i quali, privati della casa e di buona parte delle loro sostanze, sono così andati a gravare sulle risorse destinate agli indigenti diventando, in alcune città, il 40% degli utenti dei centri della Caritas;
  3. disadattamento e sbandamento dei minori che, privati della figura paterna nella loro educazione quotidiana, hanno perso ogni riferimento con la genitorialità “maschile” necessaria al loro equilibrato e completo sviluppo psichico ed affettivo. Ciò rischia di essere un fattore destabilizzante per la società adulta del futuro prossimo venturo.

A tali argomentazioni ne aggiungiamo altre delle quali, però, poco si parla.

La prima: questa Giustizia appiattita sulla figura genitoriale femminile, che relega le donne al mero ruolo di “balie e vivandiere” e che non rispetta il loro diritto ad una piena realizzazione professionale, sta mandando in collisione due fronti dello stesso mondo “femminile”, ovvero: il fronte delle ex mogli e delle ex compagne con figli, tutte perlopiù ipertutelate e garantite nei loro privilegi “di casta” – di fatto inalienabili – contro il fronte delle nuove compagne / seconde mogli, con o senza figli, per nulla tutelate ma, anzi, soggette ad ogni genere di angheria oltre che all’ignobile sfruttamento delle loro personali capacità produttive e al depauperamento delle loro risorse finanziarie (facendo un parallelismo: quello che nel mondo del lavoro sono i precari). Donne contro donne… Eva contro Eva!

Si può tranquillamente affermare che la Giustizia, oggi, fa l’interesse di un solo, ristretto, gruppo di donne, vale a dire di quelle che per prime (cronologicamente) “generano un figlio” o che per prime “contraggono matrimonio” a discapito di tutte le altre donne che, arrivando dopo la rottura di una relazione, pure, a loro volta, potrebbero mettere al mondo dei figli con i soggetti “padri separati / divorziati” e, con questi, formare dei nuovi nuclei familiari. Nuovi nuclei familiari che, però, vengono considerati “di serie B” in tutto e per tutto (A.N.F., calcolo reddituale, I.S.E.E., agevolazioni e sovvenzioni, diritti dei figli, etc.).

Inoltre, senza ipocrisia, bisogna ammettere che molte nuove compagne / seconde mogli, spesso, sono la fonte primaria di sostentamento del proprio uomo “ex marito / padre separato” in quanto, sovente, sono anche quelle donne che hanno messo un tetto sulla testa del malcapitato, rimasto senza casa e senza reddito disponibile. Infatti, solo le ex mogli ed i loro figli hanno il diritto di mantenere il tenore di vita che avevano in costanza di matrimonio; le nuove compagne non hanno alcun diritto di costruirsi una famiglia con i loro nuovi partner, a differenza delle ex mogli le quali possono, invece, accogliere in casa loro i loro nuovi compagni e godere delle sostanze dell’ex marito. Ancor meno diritti hanno i figli delle nuove compagne. Mentre, infatti, la prima compagna o moglie (perchè è sufficiente che sia arrivata “per prima”) oggi può permettersi il lusso di non lavorare oppure di continuare a percepire denaro ad libitum anche nel caso in cui il lavoro (che magari ha pure trovato) “non sia all’altezza delle sue aspettative o del suo precedente stile di vita” (sic!) in quanto depositaria di un qualche “Diritto Divino”, la nuova compagna o nuova moglie deve obbligatoriamente lavorare perché il bilancio familiare viene costantemente prosciugato dalle esigenze (non controllabili, non sindacabili e fonte di continui litigi e/o destabilizzazioni emotive e finanziarie) di colei che “in nome dei figli” o in nome di “una presunta debolezza reddituale” (che spesso si traduce in: lavoro nero, stato depressivo strumentale o semplice pigrizia) ha la precedenza su tutto e su tutti. Inoltre, la seconda compagna o nuova moglie, deve “magicamente” far quadrare il bilancio, badare alla casa, essere in grado di allevare i figli senza aiuti, avere sempre una salute di ferro (non si può permettere crisi psicologiche o cedimenti di sorta!)… senza però godere di alcun benefit e/o sostegno e stando altresì attenta a non diventare troppo benestante, altrimenti rischia di subire persino la richiesta di aumento di mantenimento da parte della “ex” di turno. Infatti, non di rado, i redditi delle nuove compagne, i loro beni di famiglia (!), le loro proprietà e tutto ciò che hanno guadagnato in una vita di onesto e sudato lavoro, vengono messi nero su bianco all’interno dei ricorsi di separazione dalle ex mogli che, così, cercano di dimostrare che, automaticamente, dato che ci sono delle compagne, i loro ex ora hanno di più, ergo, per la loro personalissima equazione patrimoniale detta anche “regola del parassitismo ambivalente“, anche loro, ora, hanno diritto ad avere di più! Inoltre, in caso di nascita di altri bambini, figli dell’ex marito e della nuova compagna, qualche ex moglie è arrivata al punto di chiedere lei un innalzamento del mantenimento per i suoi figli, sostenendo che la nuova compagna dovesse essere in grado di provvedere ai propri pargoli da sola, mentre lei… la “povera” ex… avrebbe avuto diritto di usufruire di un sostegno economico maggiore per i suoi! Il tutto non è previsto dalla legge, ma avviene esclusivamente nel rispetto di “norme” di creazione giurisprudenziale, non previste dalla gerarchia delle fonti del diritto italiano.

Dunque… la ex moglie o ex compagna è sempre ben felice di accantonare la sua dignità “per amore materno” motivo assai nobile per il quale non esita a spolpare le (spesso) esigue risorse dell’ex coniuge, e anche della di lui nuova compagna / nuova moglie. Incurante delle progettualità (figli, futuro) di questi ultimi. Inoltre, tutte le esigenze e i cambi di programma della ex devono essere “esauditi”, altrimenti scatta l’ignominiosa accusa di “menefreghismo nei confronti dei figli” (anche se i figli non rischiano il benché minimo danno), senza alcun rispetto per gli impegni e i doveri che il padre, nel frattempo, si è assunto nei confronti della sua nuova famiglia e dei suoi nuovi figli. Di fronte alla recentissima conquista di parità per tutti i figli nati nel matrimonio o fuori da esso, anche per le donne occorrerà ri-definire una vera parità.

Va rilevato che sarebbe, inoltre, quanto mai utile e necessario prescrivere un percorso di riabilitazione psicologica ed emotiva che liberi le persone dall’odio e le induca alla mediazione nel nome dei figli, e ricordare loro che, nella vita, ci sono delle “regole” di convivenza civile da seguire. Magari sarebbe auspicabile che tale messaggio fosse veicolato con adeguate campagne di comunicazione sociale alla stregua dell’eliminazione della dipendenza dal tabacco o dell’incentivazione a fare la raccolta differenziata.

Necessario sarebbe pure prevedere un innalzamento, a fini di deterrenza, delle soglie edittali di pena previste per coloro che non rispettano i diritti alla bigenitorialità dei minori. Nessun giudice ad oggi, si è mai espresso con provvedimenti disciplinari atti a limitare atteggiamenti persecutori e vessatori (al limite dello stalking), nonostante l’introduzione dell’art. 709ter c.p.c. Tali atteggiamenti impuniti mettono a dura prova non solo la stabilità emotiva dei figli di una sola unione, bensì quella dei figli di due o di più unioni!

Di fatto, il Diritto Familiare odierno, con la sua impronta reazionaria, ha gettato le basi di una sorta di “Jus Primae Mulieris” traducibile in un più prosaico “Colei che prima arriva meglio si accomoda”. E comanda a bacchetta tutti gli altri, gettando nel panico e nello sconforto intere famiglie (parenti compresi).

Ancora più grave è che le condotte conflittuali poste in essere in nome di tale “Diritto Divino” di “Colei che è arrivata per prima” si estendano al “Compagno di Colei” che, magari disoccupato o semplicemente mero approfittatore, presto si abitua all’andazzo imperante e va a costituire un ulteriore soggetto che, indirettamente, pure concorre a farsi mantenere (ad esempio: vivendo gratis nella casa dell’ex marito il cui mutuo è pagato dall’ex marito; usufruendo, per il vitto, e non solo, dei soldi versati dall’ex marito, etc.).

Di conseguenza, oggi abbiamo: il nucleo familiare numero UNO (ex moglie o ex compagna collocataria dei figli + nuovo compagno dal quale, magari, ha avuto altri figli) che può tranquillamente andare a gravare economicamente sul nucleo familiare numero DUE (ex marito o ex compagno + nuova moglie o compagna, magari con figli loro). Va da sé che nel 99% dei casi l’ex moglie non si risposerà mai in quanto, così, perderebbe i lauti privilegi legati alla sua presunta (e non sufficientemente accertata) “debolezza” finanziaria. E per tutto questo dobbiamo proprio ringraziare la reintroduzione surrettizia dell’assegno di mantenimento, la mancata doppia residenza dei figli e la frequentazione non equilibrata e continuativa dei minori con entrambi i genitori, resa possibile da coloro che, in questi cinque anni, hanno lasciato che l’affido condiviso si trasformasse nel vecchio affido esclusivo antecedente la riforma del 2006.

Eccoli qui i due fronti: quello delle ex, detentrici di affido, denaro, casa, benefici… e quello delle nuove compagne che, reincollando i frammenti emotivi delle relazioni con tutti i figli, rappresentano una nuova progettualità familiare volta a salvare la psiche dal trauma del divorzio / della separazione. Non dimentichiamo che, quanto illustrato sopra, è altamente penalizzante soprattutto per quelle madri, ex mogli o ex compagne “oneste” che, non solo non si sono mai approfittate in modo così disdicevole dei loro ex, ma che, anzi, hanno lavorato duramente e si sono sacrificate davvero per il benessere dei propri figli, dimostrando, loro sì, di avere una Dignità e di essere vere Donne e ottime Madri.

Ci preme altresì aggiungere che il rapporto asimmetrico tra i genitori circa i compiti di cura verso i loro bambini si ripercuote negativamente sulla crescita e sulla loro educazione, non di rado dando luogo a tutta una serie di gravi patologie e/o manipolazioni psicologiche configurabili come “maltrattamento del minore” (ad esempio: la PAS ovvero la “sindrome di alienazione genitoriale”)4.. Si veda anche come la mancata previsione della doppia residenza porti ad uno sbilanciamento (sempre a favore del genitore affidatario, nel 99% dei casi la madre) nella destinazione dell’importo degli assegni familiari (l’INPS, in proposito, è bizantino: “[…] in teoria, in caso di affidamento condiviso, gli A.N.F. vanno suddivisi al 50% tra padre e madre ma poi, in pratica, vanno al genitore con cui il minore ha la residenza”. Ma siccome la residenza è una sola…!) nonché di tutta una serie di agevolazioni (vedi il calcolo I.S.E.E.5 da cui conseguono: accesso al contributo per l’affitto, abbassamento retta per asilo-nido comunale, buono libri scuola, misure di sostegno al reddito, etc.) che, di fatto, diventano ulteriori “benefits” per il genitore “collocatario” o “prevalente”. Anche i carichi / le detrazioni / le deduzioni fiscali dovrebbero essere ricalcolate tutte al 50% e sull’argomento “genitori separati e/o divorziati” persino l‘Agenzia delle Entrate è carente: non riesce sempre a fornire direttive precise e, soprattutto, univoche.

In netta crescita, poi, è anche il fenomeno dello stalking ovvero quell’insieme di fenomeni tendenti a disturbare, spaventare e intimidire uno o più soggetti. Sempre in virtù di quanto detto sopra (e del potere goduto da una certa categoria di donne), i fenomeni di stalking “donna vs uomo” o “donna vs donna”6 vengono perlopiù sottovalutati e comunque non adeguatamente supportati da strutture territoriali in grado di risolvere queste criticità. Se è vero che il numero gratuito messo a disposizione dal Ministero delle Pari Opportunità risponde in maniera abbastanza solerte a questo genere di richiesta di aiuto, è altrettanto vero che i centri antiviolenza sembrano possedere unicamente gli strumenti per affrontare il problema della violenza maschile. La violenza femminile (anche quella attuata da donne verso altre donne) viene minimizzata o, alla meno peggio, si consiglia sbrigativamente di “rivolgersi ad un legale”. Nessun serio supporto psicologico è offerto e la preparazione del personale preposto, in questo ambito, appare del tutto insufficiente. Inoltre, non un solo operatore di genere maschile è stato assunto e/o formato per rispondere, nemmeno telefonicamente, alle richieste d’aiuto dell’utenza maschile. Del resto, vista la necessità di “quote rosa” nei CDA aziendali, ora sancite per legge, ci domandiamo quando saranno istituite delle “quote azzurre” nel personale del Ministero delle Pari Opportunità e dei centri antiviolenza.

Infine, considerata la recente equiparazione tra figli legittimi e naturali, approvata alla Camera, auspichiamo quanto prima l’equiparazione dei diritti femminili delle madri tra cui si annoverano anche le nuove compagne o mogli perchè, se è vero che le donne sono ancora penalizzate nel mondo del lavoro e che le politiche, a sostegno della famiglia, si riducono a un “meno male che esistono i nonni” (!?!), non può e non deve succedere che alcune donne siano penalizzate doppiamente e cioè che siano “massacrate” anche nell’ambito di un Diritto di Famiglia squilibrato a favore di alcune.

Segnaliamo, invece, come molto grave, una recente sentenza della Cassazione che recita all’incirca così “[…] se un figlio ha un lavoro al di sotto delle sue aspettative ha diritto ad essere mantenuto dai genitori”. Una breve premessa: siamo passati forse troppo rapidamente, nel giro di sole 3 generazioni, da una società che considerava i figli come mere “braccia da lavoro” dedite a sostenere la famiglia di origine laddove necessario (a quei tempi ai genitori si dava del “voi”) ad una società eccessivamente “bambinocentrica” in cui il figlio viene viziato, vezzeggiato e protetto in modo esagerato e disfunzionale ad un sano processo di crescita (grazie anche al “falso condiviso” ovvero l’affidamento monogenitoriale). Dunque, mentre in Cina l’infanzia “termina a soli 3 anni” qui l’infanzia si protrae ben oltre i 40, con la benedizione di coloro che sono chiamati a “jus dicere” e di mammà. Ovviamente, le condizioni al contorno (precarietà del lavoro, disoccupazione, incertezza diffusa, crisi economica) non aiutano di certo le nuove generazioni a tagliare il cordone ombelicale per rendersi indipendenti; il problema è strutturale, la sua risoluzione spetta ai governi legittimi, non ai privati cittadini. L’assenza di una seria politica di welfare (basterebbe confrontarsi con la Francia) non deve ricadere ancora una volta sui padri separati o, più in generale, non può nuovamente allungare le mani nelle tasche delle famiglie. Forse sarebbe meglio scegliere un’univoca linea di condotta, e seguirla, senza più nascondersi dietro il paravento del “sacro mammismo italico”.

Infine, per contrastare con un’ultima “leggera” argomentazione i denigratori del condiviso ovvero i sostenitori accaniti della già sopracitata teoria del “pacco postale”, segnaliamo una curiosità: sul canale Rai yo-yo sono quotidianamente trasmessi un paio cartoni animati destinati ai più piccoli: Bali e Milo. In una puntata un personaggio “bambino” dice ad un suo compagno: “Sai, i miei genitori sono divorziati. Ora però mi viziano di più e poi, pensa: ho due case, due camerette, doppi vestiti, doppi giocattoli e due lettini!”. E così, in ogni puntata, si affrontano, col sorriso, temi scottanti come i litigi tra i genitori, il divorzio, il nuovo fidanzato di mamma e l’amica di papà. Insomma, i nostri piccoli semplicemente guardando la TV… apprendono qual è la verità. TV privata presente, informazione sociale assente?

 

Ricordiamo, infine, al Legislatore che i provvedimenti presi non possono basarsi sul “buon senso” delle persone. Non crediamo che, ad esempio, il Legislatore, renderebbe libero il possesso di armi augurandosi che “il buon senso” prevalga e che nessuno pensi di usare la sua arma impropriamente.

Il Legislatore deve essere lungimirante, prevedere le conseguenze.

Perchè nel Diritto di Famiglia questo non avviene?

 

Movimento Femminile per la Parità Genitoriale

 

 

1 Fabricius W, Hall Jeffrey, 2000 : “Le percezioni dei giovani adulti sulle separazioni”, Family And Conciliation Courts Review, 38 (4): 446-461, 2000.

2 Rif.: l’interrogazione parlamentare dell’On. Rita Bernardini del Partito Radicale a proposito del regime di “falso condiviso” e del problema dei moduli pre-stampati, già a favore delle madri, usati nei Tribunali Italiani.

3 Rif. : “La sindrome della madre malevola”.

4 La sindrome di alienazione genitoriale (o PAS, dall’acronimo di Parental Alienation Syndrome) è una dinamica psicologica disfunzionale che, secondo le teorie dello psichiatra statunitense Richard A. Gardner, si attiverebbe in alcune situazioni di separazione e divorzio conflittuali non adeguatamente mediate. La PAS è oggetto di dibattito e ricerca, in ambito scientifico e giuridico, da quando è stata originariamente proposta da Gardner nel 1985.

5 Maurilio Pavese, “L’ISEE e la convenienza di separarsi”, 2011

6 Fabio Nestola, Gaetano Giordano,“Stalking al femminile”, report 8/2009

 

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