La storia del maresciallo Adornato – intervista di Fabio Nestola

Rimbalza tra blog, siti e socialnetwork l’incredibile vicenda del carabiniere che vuole lasciarsi morire a causa delle ingiustizie subite. Un genitore che dopo la separazione non può più essere padre, la violenza più atroce che si possa immaginare, tanto macroscopica da non essere riconosciuta.

Le istituzioni infatti considerano “normale” la lacerazione delle relazioni padre-figlia: è normale che Fabrizio possa vedere la figlia G. solo nei ritagli di tempo, è normale che G. possa rifiutarlo, è normale che subisca l’influenza di chi la vuole complice nell’annientamento del padre, è normale che nessuno riconosca il condizionamento e la manipolazione sulla bambina, è normale che Fabrizio venga relegato sotto la soglia minima di dignità emotiva, economica, sociale.

La lotta impari del Davide-Fabrizio contro il Golia-Sistema cozza contro il muro di gomma della burocrazia, contro l’ignavia di troppi operatori preoccupati di essere in regola con bolli e firme piuttosto che calarsi nella realtà, piuttosto che cercare di capire se i provvedimenti siano effettivamente a garanzia del superiore interesse della minore.

Problema antico, quello del superiore interesse del minore: in tanti se ne riempiono la bocca, poi in realtà è un principio astratto che viene invocato per avallare le decisioni più assurde e contraddittorie, per giustificare le esigenze di tutti, ma proprio di tutti, tranne che del minore.

Ne abbiamo parlato con Fabrizio Adornato, che in una intervista esclusiva rivela i retroscena più intimi dell’intera vicenda.

 

D – sei a Roma dal 7 marzo per uno sciopero della fame ad oltranza, cosa speri di ottenere?

R – Giustizia, niente di più e niente di meno. Sembra assurdo che per avere giustizia un padre debba ricorrere la gesto eclatante, siamo abituati a pensare che la giustizia si ottenga in Tribunale.

Non è così, ho imparato sulla mia pelle che nulla è come ho creduto per anni.

 

D – sei un Carabiniere, oltretutto graduato, un Maresciallo Capo dell’Arma

R – esatto, e questo rende ancora più assurdo il mio gesto di protesta. Ho servito per anni la giustizia, ne ho fatto il pilastro della mia vita privata e professionale; piazze difficili, da Milano a Napoli passando per Pavia, Genova, Vicenza….

Momenti delicati, operazioni nei campi più diversi: prostituzione, stupefacenti, omicidi, malavita organizzata…. Mai per un solo momento ha vacillato la mia convinzione di servire uno Stato di Diritto, mai ha vacillato la necessità di infondere in ogni cittadina e cittadino una profonda fiducia nel rivolgersi alle istituzioni.

Vacilla ora, e questo è grave

 

D – ti chiedi se è giusto ciò che hai fatto nella tua vita?

R – Questo mai. Ero convinto – e lo sono tuttora – della necessità di una giustizia efficiente, in grado di dare alla cittadinanza la sicurezza e soprattutto l’imparzialità delle quali la cittadinanza stessa ha bisogno. Il problema nasce quando le legittime aspettative di imparzialità vengono disattese, fatte a pezzi da provvedimenti discriminanti, assurdi, surreali omissioni.

Quando c’era da servire la giustizia l’ho fatto, con profonda dedizione, per anni. Quando sono stato io a rivolgermi alla giustizia, ho ricevuto in cambio la distruzione del mio ruolo paterno.

 

D – puoi spiegare meglio?

R – La delegittimazione del padre, una distruzione lenta, tante piccole tessere che vanno a comporre un mosaico devastante. Ma, aspetto ancora più insostenibile, è una distruzione perfettamente legale.

 

D – Parole forti… perché sei così critico nei confronti della giustizia?

R – Vedi, nel mio lavoro sapevo chi era il “nemico”. C’è chi viola la legge e chi deve farla rispettare, i ruoli sono ben definiti. Da padre non so più da chi devo difendermi, le decisioni più penalizzanti arrivano dalle persone alle quali mi sono rivolto per chiedere aiuto. In fondo nessuno considera importante che io mi occupi di mia figlia, la segua nel processo di crescita, le trasmetta i miei valori ed il mio amore…

Il ruolo che mi assegnano è quello di garantirle la sicurezza economica, a crescerla ci penserà qualcun altro. Si rischia di impazzire. Se non posso avere fiducia nei Tribunali, in chi posso averla?

 

D – la situazione si protrae da tempo, sul tuo blog www.eremita65.blogspot.comci sono informazioni e documenti a non finire. C’è stato un episodio in particolare che ti ha spinto ad iniziare lo sciopero della fame?

R – Stringo i denti da tanto tempo, posso sopportare di essere ridotto in miseria, di non poter ricostruire una mia vita privata, di essere costretto a trasferte lunghe e costose per incontrare mia figlia… l’unica cosa che non posso sopportare sono gli ostacoli posti fra lei e me.

Ero in macchina con G., dovevamo passare la giornata insieme. Mi chiede di passare da casa per prendere i libri necessari ai compiti del pomeriggio. Era felice, serena, entusiasta e sorridente come sempre quando è con me. Entra in casa e rimango fuori ad aspettarla. Non esce subito, trascorrono i minuti. Torna in macchina, l’espressione è cambiata. Mi dice di non poter venire, ha un impegno “che aveva dimenticato”.

E’ una scusa, si vede lontano un miglio: è imbarazzata, distoglie lo sguardo, forse si sente anche in colpa, povero amore mio. Si apre la porta, la madre si affaccia: “Allora, ti sbrighi?”

Capisco subito, è già successo tante altre volte

 

D – perché questa strategia?

R – Temo che la madre sappia amare solo attraverso il possesso. Non è nostra figlia, è sua figlia. Credo che viva male il fatto che G. possa volere bene anche al padre, è sua proprietà esclusiva e deve amare solo lei, la condiziona, vorrebbe farne una complice nel suo progetto di distruzione paterna.

Questo episodio, ultimo di una lunga serie, non l’ho potuto sopportare, la classica goccia che fa traboccare un vaso fin troppo colmo: è quel giorno che ho raccolto due cose e sono partito per Roma.

Questa situazione mi uccide lentamente, o cambia o esco dall’ombra della disperazione e la mia fine diventa pubblica.

Fonte: adiantum.it

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