Possono uomini e donne trovare una strada comune per combattere ogni genere di violenza senza ideologie? Usare il termine “femminicidio” aiuta?

Possono uomini e donne trovare una strada comune per combattere ogni genere di violenza senza ideologie? Usare il termine “femminicidio” aiuta?

[a cura di Ettore Panella]

Riproponiamo questo articolo, aggiornato in data 16/08/2013 su richiesta dell’autore; articolo peraltro già pubblicato alcuni mesi fa, nella sua prima versione, nel nostro blog Bigenitorialità e Dintorni. L’argomento ci sembra di scottante attualità

Qualche giorno fa la mia amica Rita mi sottopose un articolo di fahreunblog scritto da un certo Broncobilly. Pur essendo un articolo brillantissimo mi resi conto subito che anche lui aveva commesso un errore comune, errrore che commettono in tanti ovvero considerare il sistema di definizione delle pene da comminare per ogni delitto come un sistema razionale mentre, al contrario, si tratta di un sistema basato sull’empatia.
La gravità o meno di una pena è legata alla quantità di empatia che la media (nota 1) degli abitanti un paese nutre verso i soggetti coinvolti sia in termini puramente astratti (reo/vittima), sia in termini di caratteristiche personali (donna/uomo, antipatico/simpatico, vip/sconosciuto, bello/brutto…). Più un soggetto riesce a catalizzare empatia, meglio ne esce durante un processo.

Non ci credete? Volete alcune dimostrazioni? Eccovele:

  • Lo psicologo John Stewart trascorse ore nei tribunali valutando l’avvenenza di veri imputati. Constatò che gli uomini di bell’aspetto ricevevano condanne molto più lievi di indiziati altrettanto colpevoli ma meno attraenti (Richard Wiseman – Quirkology)
  • 24 maggio una ragazza in Calabria viene pugnalata e poi bruciata dal suo ragazzo. Stesso giorno, stessa regione una donna picchia e poi uccide il compagno buttandogli acqua bollente addosso mentre era a letto. Morte per ustioni in entrambi i casi, l’unica differenza è il sesso invertito e la giovane età di entrambi i protagonisti nel primo caso. Dibattiti e notizie in prima pagina nel      primo caso (perchè l’empatia genera flussi di denaro con la pubblicità) un      trafiletto o basso profilo nel secondo (perchè l’assenza di empatia non genera flussi di denaro)
  • Un rom ubriaco falcia alcuni ragazzi. Omicidio colposo. L’atteggiamento della gente verso il colpevole sarebbe stato lo stesso se il conducente fosse stato italiano?

Vi basta o volete altri esempi?

Mantenendoci in termini astratti vediamo con quale meccanismo le pene vengono definite. Nel caso dell’omicidio colposo ci sarà chi empatizzerà [nota 2], maggiormente con il colpevole perché in fondo chi è che non ha fatto una leggerezza nella vita? Un bicchiere di troppo, uno starnuto o un’accelerata possono determinare un incidente mortale. Ci sarà chi empatizzerà maggiormente con la vittima o perché ha subito un incidente o perché pensa di poter essere investito. Ci sarà chi empatizzerà un po’ per l’uno e un po’ per l’altra.

La pena che verrà stabilita dal potere politico sarà un compromesso tra le quantità di empatizzazioni che faranno pendere la bilancia per uno dei due; quanto più l’ago della bilancia sarà sfavorevole ad un soggetto, tanto più la punizione tenderà ad essere pesante. Il potere politico non ha sempre e solo un ruolo passivo alla “Ponzio Pilato” – che chiede di scegliere tra Gesù e Barabba – ma può condizionare la percezione della popolazione.

L’empatia è un processo naturale che può essere disattivato da emozioni, quali la rabbia, oppure dall’interesse economico. Intervenendo sulla percezione della popolazione il potere politico può alimentare le emozioni empaticide o creare interesse economico al fine di modificare il flusso dell’empatia che non è mai un flusso stabile ma è sempre soggetto ai condizionamenti esterni.

Nel caso di omicidio volontario ognuno di noi tenderà a empatizzare con la vittima perché partiamo dal presupposto che non abbiamo nessuna intenzione di uccidere, (cosa tra l’altro vera, visto che solo una microscopica frazione di popolazione realmente uccide). Potremmo però essere erroneamente e falsamente accusati di un omicidio e questo ci farà empatizzare con le “vittime degli errori giudiziari” portandoci a chiedere, da un lato, un processo giusto e, dall’altro, di limitare la richiesta di severità.

In questo processo conta molto la fiducia che la popolazione nutre verso la capacità della magistratura di assicurare processi veloci e giusti. Poiché in Italia questa fiducia è sempre più scarsa si determina un saliscendi dove un giorno si è giustizialisti e il giorno dopo garantisti.

Nel caso di violenza su una donna, ovviamente, le donne empatizzeranno con la vittima ma, essendo anatomicamente impossibilitate a violentare un uomo (in realtà alcune donne sono riuscite nell’impresa ma con metodi così articolati da scoraggiarne la maggior parte), non potranno essere accusate falsamente. Per un uomo è vero il contrario: non può veramente empatizzare con una donna – perché non lo è – ma potrà invece empatizzare con un uomo falsamente accusato.

Un elemento di naturale correzione, in questo caso, permette di riequilibrare i pesi di empatia perché una donna, alla quale si è legati da rapporti affettivi, può essere violentata; le donne possono empatizzare con uomini, ai quali sono legate, che sono stati o possono essere falsamente accusati. E’ il caso delle nuove compagne che vivono il dramma delle false denunce a carico dei loro uomini e, in una discreta percentuale dei casi, anche a carico loro e, magari, anche a carico dei loro figli. Un magistrato (il PM Carmen Pugliese) ha posizionato le false denunce intorno all’80% del totale (in realtà, considerando le assoluzioni, puntiamo oltre il 90%).
Di recente, una donna Procuratore statunitense, dopo aver promosso per anni un sistema inquisitorio senza alcun diritto di difesa si è improvvisamente ricreduta quando suo figlio (maschio) è stato falsamente accusato ed ha rischiato di essere stritolato da quello stesso sistema che ella aveva contribuito a creare.

In questo caso particolare si crea un conflitto tra chi empatizza o solo con la vittima o solo con l’innocente falsamente accusato e chi con entrambi. I primi cercano di schiacciare agli estremi la discussione, negando che esistano false accuse o vere violenze, utilizzando una strategia comunicativa che chiamo crociatizzazione quando voglio mettere l’accento sulla componente emotiva o polarizzazione quando voglio far credere di essere una persona colta (i paroloni in Italia pagano sempre).

In parole povere, “chiamare alla crociata” costringe a scegliere se stare da una parte o dall’altra, rinunciando a posizioni dialoganti. In questo tipo di strategia gli estremi sono, di fatto, alleati e operano avendo, come scopo principale, quello di evitare che gli elementi moderati (nel senso che sono disposti a empatizzare anche con le ragioni dell’altro) dialoghino tra loro. Usare il gruppo-pensiero di cui ho parlato in questo articolo aiuta a realizzare lo scopo e, come ho già detto, alimentare la rabbia o gli interessi economici uccide l’empatia e quindi aiuta ulteriormente a polarizzare.

La polarizzazione serve a ottenere vantaggi di schieramento e non per risolvere i problemi; infatti, una legge come quella contro lo stalking (a parte il fatto che è stata fatta talmente male che persino io avrei fatto di meglio) non funziona perché, se un magistrato dice che l’80% delle denunce in fase di separazione sono false (l’80% significa che su 100 denunce 80 servono ad ottenere vantaggi strumentali, e la PM si è tenuta bassa), in un paese serio ci si mobiliterebbe se non altro perché se mandi le forze di polizia e i magistrati a “cogliere margherite”; poi, come cavolo pensi che possano essere efficaci nel 20% dei casi veri? E’ evidente che, sostenere acriticamente la non esistenza delle false accuse, implica automaticamente che non puoi avere la forza operativa per lavorare efficacemente su quelle vere.

Pensiamo ad una tecnica abbastanza usata nelle separazioni conflittuali: il genitore (in genere il padre) telefona, il genitore alienante risponde e dice: “il bambino ora è in bagno richiama tra dieci minuti“; il padre richiama e lei dice: “il bambino ora sta facendo i compiti richiama tra dieci minuti“, e così via; dopo un certo numero di telefonate scatta la denuncia di stalking. I tabulati indicano le molte chiamate ma nessuno ovviamente può verificare cosa si è detto.
Mi volete far credere che sia una libera iniziativa del genitore alienante e non un suggerimento di qualche “professionista” ?
Mi volete far credere che non c’è una responsabilità del sistema che alimenta il conflitto invece di sanarlo?
Ok, ci credo! Datemi solo un minuto per scendere dal pero…


E’ il caso di usare il termine femminicidio?

Dipende da quale scopo si vuole perseguire. Femminicidio è un termine adatto alla crociatizzazione. Se si parlasse di omicidi in famiglia io potrei essere ucciso da mia moglie (sono ragionevolmente convinto non voglia farlo, però, in linea puramente teorica la possibilità esiste), ma non potrei essere femmicidiato. Lei, al contrario, potrebbe (sempre in linea teorica) essere femmicidiata da me ma non potrebbe femmicidiarmi visto che posso garantire di non essere femmina (…fidatevi e non fate le solite battute. Birbantell*! ).

Quindi inconsapevolmente registrerò il fatto che io posso essere solo colpevole e lei può essere solo vittima. Il sentire collettivo (una specie di “sommatoria” [nota4] di ciò di cui ognuno è intimamente convinto) maschile è che si è solo colpevoli mentre quello femminile è che si è solo vittime.


Che Volpi!

Quando si parla di prevenzione si chiede di fare più cultura, ma la cultura è una cosa che ha a che fare con la razionalità mentre, come ho detto, occorre un atto empatico. Fare cultura può aiutare ma empatizzare è un atto libero che non può essere imposto, anzi, imporlo crea l’effetto opposto ed è un atto che richiede anche reciprocità; può liberamente fluire se ci si riconosce nel dolore dell’altro e soprattutto se si riconosce il dolore dell’altro.
Se un uomo è solo colpevole non potrà empatizzare veramente con una donna, mentre una donna, essendo cristallizzata nel ruolo di vittima, non potrà veramente empatizzare con l’uomo.
Poiché non è vero che in famiglia uccidono solo gli uomini (anche le donne si danno un bel da fare) questo crea degli effetti paradossali.
Nel 2012 ci sono stati omicidi raccapriccianti di uomini agiti delle loro mogli. Alcuni si sono presi la briga di mettere in un elenco le aggressioni femminili del 2012 (nota 3) ed è impietoso anche se, per la minore forza fisica, il convivente viene spesso solo gravemente ferito riuscendo a sopravvivere, sia pure malmesso.


Attenzione!

Siamo alla profezia che si auto avvera (in questo modo gli psicologi indicano il fatto che una persona ponga le condizioni affinché ciò che teme si avveri, ad esempio: se penso che le donne siano interessate solo ai soldi punterò a conquistarle sfoggiando macchine costose e status symbol che attireranno solo donne interessate ai soldi lasciando tiepide le altre, e questo rafforzerà la convinzione di partenza).
La consapevolezza che l’empatia richiesta non sia reciproca porta a due conseguenze: in un caso c’è un rifiuto di empatizzare con chi non empatizza ma la cosa peggiore avviene quando, a livello razionale, si mostra una empatia forzata e si chiede a sé stessi di empatizzare ma la consapevolezza dell’asimmetria si radica nel profondo dove diventa sempre più forte fino ad esplodere.
In pratica, in Italia, non esiste un odio verso le donne (chi uccide non uccide una donna “a caso” ma uccide quella donna per motivi discutibili ma concreti) però la campagna per combattere l’odio contro le donne prima creerà l’odio contro le donne.
Praticamente l’uso della parola femminicidio genererà il fenomeno.


I numeri contano

Mia nonna prendeva in giro mio nonno perché, una volta divenuto troppo vecchio per coltivare i campi, passava il tempo a leggere giornali e a causa di questo passatempo aveva iniziato a mettere cancelli ovunque. Mia madre ricordava la sua infanzia in campagna come un periodo felice e anche io ricordo con grande nostalgia quel gruppo di bambini che in estate, (io vivevo in città e andavo dai nonni solo quando le scuole erano chiuse), scorrazzavano tranquillamente in lungo e in largo. Nessuno si sentiva veramente in pericolo perché di fatto non succedeva nulla. A quei tempi la televisione non l’avevano tutti, ad essere onesto neppure l’acqua corrente. Come la televisione arrivava a casa di qualcuno, cominciavano ad arrivare anche filo spinato e cancelli.

Per il principio della savana, teorizzato dagli psicologi evoluzionisti, l’essere umano non è veramente in grado di distinguere tra l’ambiente in cui si è evoluto (la foresta e la savana) dall’ambiente moderno. Ad esempio, possiamo avere un enorme numero di amici virtuali ma possiamo gestire veramente solo circa 150-300 amici perché il nostro cervello si è evoluto in un piccolo villaggio.
Il principio della savana ci dice che il nostro cervello non è in grado di distinguere quello che ci viene detto dalla vicina, circa un evento accaduto dietro l’angolo, da quello che ci dice la tv, circa un evento accaduto in un altro continente. In pratica, un omicidio sulla Luna genera in noi lo stesso allarme e la stessa ansia di un omicidio accaduto sotto casa.
Se guardiamo ai dati del sito Bollettino di Guerra , che da anni conta le vittime donne di omicidi, notiamo che dall’inizio dell’anno ad oggi sono 33 le donne uccise per motivi legati al rapporto di coppia (è contato anche un omicidio in una coppia lesbica dove la compagna ha ucciso la conviene). Facendo una proiezione partendo da questi dati, per tutto il 2013 possiamo aspettarci circa 75 – 76 omicidi di donne che, su 60 milioni di abitanti, rappresenta un numero molto basso (il numero di donne che in Italia muoiono per parto non è molto diverso, vedi nota 5). Il sito che raccoglie i dati delle violenze fatte dalle donne è questo.

Consultando entrambi i siti, la prima impressione che ricava una persona dotata di un minimo di buona fede è che si tratta di pochi episodi (per un Paese grande come il nostro) tra ferimenti di una certa gravità e omicidi, e questo è un sollievo per il nostro Stato. Nessuno lo dice mai ma, in dieci anni, abbiamo dimezzato il numero di omicidi per anno, nonostante potessimo contare sul fattivo apporto di ben tre tra le più pericolose organizzazioni criminali mondiali. In percentuale il tasso di omicidi ogni centomila abitanti è migliore di quello della Svezia, sia per omicidi in generale che per omicidi di donne.

Molto probabilmente, a fine anno, scopriremo che il numero di donne uccise si è ridotto percentualmente di parecchio rispetto agli anni passati mentre, purtroppo, il problema che sembra in crescita preoccupante, è rappresentato dai suicidi (ma su questi i dati che abbiamo sono pochi).


Dove si va a parare?

l motivi per cui si è scelto femminicidio come parola d’ordine sono secondo me molti e variegati ed affondano in diverse culture dalla religiosa alla misandrica ma l’articolo è già lunghissimo, percui preferisco analizzare un altro aspetto.

C’è una tendenza dissennata in atto: si cerca di veicolare l’idea della coppia come un posto invivibile dove, dalla persona che ami, ti devi aspettare le peggio cose. Abbiamo visto che numeri, ridottissimi, di omicidi in famiglia vengono presentati come una strage continua per cui tutte le donne devono temere un omicidio. In caso di separazione, sta passando il messaggio che tutti gli uomini saranno buttati fuori dalla loro casa, non potranno più vedere i bambini e dovranno mantenere la ex e il suo amante mentre questa sorte toccherà si e no ad un 5-10% di uomini perché – posso garantirlo – esistono, è vero, donne che fanno cose terribili, ma ho conosciuto personalmente donne che sono scappate dallo studio dell’avvocato che voleva far loro dichiarare cose ignobili.

Hanno fatto una ricerca sulla violenza con parametri così larghi da equiparare “una critica ad un vestito” ad una violenza grave. Alcuni ricercatori hanno sanato le lacune di quella ricerca usando gli stessi parametri, o similari, per analizzare i dati della violenza fatta dalle donne sugli uomini e, ovviamente, sono uscite fuori cifre enormi (se usi parametri larghi avrai cifre larghe a parte il fatto che è proprio il sistema usato a non essere valido in questo tipo di ricerche come ho spiegato in questo articolo).

Tutto questo è insensato: in una coppia bisogna anche potersi scambiare delle critiche ed è assurdo ritenere che i litigi siano tutti un segno di violenza perché una coppia che non litiga mai non è una coppia sana. L’idea dell’esclusiva è un fondamento della coppia e un certo grado di gelosia ci sarà sempre perché l’alternativa sarebbe la trombamicizia. Se uno vuole rapporti molto larghi è liberissimo di farlo ma la coppia e un minimo di gelosia sono strettamente legati.

Ci sono uno sparuto numero di casi dove si eccede, per motivi di varia natura, ed è bene occuparsi di quelli ma voler promuovere un’idea della coppia con l’avvocato sotto il letto (non come amante, si spera) e le telecamere ovunque per potersi difendere da eventuali accuse strumentali è follia. La nostra società è già adesso è molto atomizzata, addirittura l’amicizia è ormai virtuale e se un “amico” muore neppure lo vieni a sapere e in questo contesto anche la coppia risente di questo continuo superficializzarsi dei rapporti, incentivare questa tendenza non credo porti bene a nessuno.


Cosa fare?

Innanzitutto una seria catalogazione. La biologia ha potuto fare un enorme balzo in avanti quando Linneo iniziò a catalogare tutti gli animali dividendoli in gruppi omogenei dando loro un nome generico e un nome di specie.

Capire bene un fenomeno è essenziale. I due siti che ho citato prima stanno facendo un lavoro comunque utile anche perché stanno sempre più affinando la classificazione, soprattutto il sito femminista che ha mostrato grande onestà intellettuale nel fare tesoro delle critiche passando dalla conta di tutte le donne uccise che poi venivano arbitrariamente attribuite a ipotetici partner a criteri più seri a partire dal 2013.
Il problema però è che molte informazioni indispensabili non possono averle perché non fanno altro che raccogliere notizie di stampa già di loro raramente corredate di info veramente utili.
Per me è indispensabile sapere che tipo di medicine prendesse l’omicida in quanto ci sono farmaci che danno allucinazioni e sdoppiamento di personalità. Questa informazione ci potrebbe aiutare a gestire meglio la somministrazione di farmaci dagli effetti collaterali pericolosi.
E’ indispensabile estrapolare dal computo i casi di omicidio di partner gravemente malati perché rientra nel campo di una ovviamente errata percezione della pietà che sfocia nell’eutanasia attiva.
La gelosia improvvisa e senza motivo in persone anziane può essere un sintomo di demenza senile che va affrontata per tempo con uno specialista invece di considerarla un sintomo di possessività.
E’ importante conoscere eventuali lesioni cerebrali dovute ad esempio a tumori o ad altre cause, è importante conoscere eventuali patologie psichiatriche perché ho una brutta notizia da darvi: la malattia mentale esiste.
Un tentativo è stato fatto quì ( http://violenza-donne.blogspot.it/2013/04/femminicidio-2012-confermata-finalita.html) dove hanno realizzato una tabella con gli omicidi e le motivazioni, purtroppo si tratta di un lavoro volontario mentre sarebbe stato opportuno che dei professionisti qualificati individuassero dei criteri utili prima e poi procedessero alla catalogazione al fine di studiare il problema nel modo giusto.

Gli informatici usano un metodo eccezionale: prendono un problema complesso e potenzialmente irrisolvibile e lo scompongono in tanti piccoli problemi che affrontano separatamente. I politici purtroppo tendono a fare l’inverso, prendono tanti piccoli problemi non correlati se non in maniera superficiale e che sarebbe più comodo affrontare separatamente e li mettono in un unico calderone trasformandoli in un grande problema complesso di difficile soluzione.


Ne basta solo uno

Quando si fa notare che i numeri sono troppo bassi per parlare di emergenza, viene ribattuto che basta solo una donna uccisa per giustificare l’allarme. Mi domando come mai non facciano lo stesso discorso per gli uomini, visto che nel 2012 ne sono stati uccisi 17 dalla partner, ma preferisco concentrarmi su un altro aspetto.

Tutti noi vorremmo un mondo perfetto dove avvocati e magistrati fossero disoccupati (forse avvocati e magistrati temo non sarebbero d’accordo), però non è realistico. Gli omicidi ci saranno sempre, noi possiamo cercare di limitare il problema ma eliminarlo è poco realistico.
I numeri ci dicono però se stiamo sulla strada giusta o meno.

Come ho già detto abbiamo dimezzato gli omicidi in 10 anni e anche quelli di donne sono in riduzione. La tendenza è riscontrabile in tutti i paesi industrializzati (Steven Pinker nel suo libro “il declino della violenza” ha dimostrato la cosa). Stiamo mietendo risultati ottimi senza fare nulla (sarà vero che non stiamo facendo nulla?)

Si parla spesso di assumere iniziative fatte da altri paesi che però, guarda caso, hanno un tasso di omicidi di donne superiori al nostro. Insomma i numeri contano eccome perché danno una visione della tendenza in atto e perché ti fanno capire subito che ciò che fanno altri paesi va analizzato con un po’ di discernimento. Con questo non voglio dire che le loro ricette siano inefficaci, per carità!
Almeno, per come ce le presenta la stampa, io credo che alcune di queste siano efficaci se lo scopo è creare un serial killer.


Ulteriori informazioni utili

– L’uomo picchiato, vittima dimenticata della violenza coniugale – Dott.ssa Bernabeo Maria http://www.psicologiagiuridica.net/separazione-coniugale/uomo-picchiato-violenza-coniugale/

– Femminicidio, i numeri sono tutti sbagliati – dott. Fabrizio Tonello http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/11/femminicidio-numeri-sono-tutti-sbagliati/590171/

– Come i media alterano la percezione della violenza maschile e di quella femminile http://abbattoimuri.wordpress.com/2012/12/23/quel-che-non-e-femminicidio/

Nota1
Sarebbe più corretto parlare di media pesata e comunque va vista come una approssimazione, il metodo quantitativo più vicino a meglio rappresentare quanto avviene  anche se non si può usare in questo caso una funzione matematica, per sua natura esatta, in cose come l’empatia che sfugge ai bilancini, almeno per le nostre conoscenze attuali.

Nota2
Il termine empatizzare significa provare la stessa sofferenza della persona che sto osservando soffrire pur essendo io non coinvolto direttamente, in pratica se vedo una persona piangere sento la sua stessa pena perchè il mio cervello prova la sua stessa emozione

Nota 3
http://violenza-donne.blogspot.it/search/label/ultimenotizie?max-results=200

Nota 4
sarebbe forse più indicato il minimo comune multiplo ma non prendete alla lettera le funzioni matematiche che cito, si tratta di approssimazioni per far comprendere il concetto non di formule.

Nota 5
Il tasso di mortalità per parto in Italia è stato fissato da uno studio del 2010 dell’Istituto Superiore di Sanità a 11.9 donne ogni 100.000 nati. Il dato è controverso perché le altre ricerche lo ponevano a 3 ogni centomila parti (ottimo come dato, l’Italia sarebbe il paese più sicuro al mondo), mentre lo studio citato considerava anche le morti sopraggiunte entro 42 giorni dal parto e non solo quelle al momento del parto. Interessante è notare che ci siano ancora dei margini di miglioramento (sempre considerando le morti entro 42 giorni),  in 6 regioni il tasso è 6 morti ogni 100.000 parti mentre in sicilia è 22. (Focus 217)