L’oggetto Transizionale – Winnicott

L’oggetto Transizionale

L.B.

Esploriamo un po’ di psicologia, non quella da salotto o  da thread come si dice nel gergo dei forum, dei newsgroup e delle chat e analizziamo un fenomeno che spesso i genitori si trovano ad affrontare con i figli.

Parlo dell’oggetto transizionale, in questo modo Donald Woods Winnicott chiama quell’oggetto, orsacchiotto, copertina o quant’altro, che il bambino trattiene con sé nelle fasi quotidiane di passaggio e dal quale trae rassicurazione.

Raccontiamo un po’ la storia della teoria dell’oggetto transizionale.

Winnicott sin dagli anni ’50 ne aveva parlato. In quegli anni, ma sovente ancora oggi, si trattava di una pezzuolina che veniva utilizzata durante le routine quali pappa e ruttino oppure addormentamento e che si permeava degli effluvi corporei del lattante e di chi se ne prendeva cura. Questa pezza seguiva il bambino durante la giornata e assumeva una funzione rassicurante e tranquillizzante quando questi era “solo” e  tramite il senso dell’olfatto percepiva l’odore dello stare insieme.

Winnicott lo definisce, un ponte tra due stadi emotivi: lo stadio di onnipotenza soggettiva del lattante e lo studio di una realtà oggettiva condivisa, realizzando il distacco dalla fusione con la madre.

Quanto dura questa fase?

Sappiamo che quando la relazione tra bambino – oggetto transizionale si consolida è il momento in cu scatta la propensione  dello spazio sociale attorno a lui per farglielo abbandonare. Anche se può sembrare incongruente la funzione educativa di tale spinta è volta allo stimolo di una più consapevole capacità e autonomia affettiva. E’ attorno ai 36 mesi che il bambino può iniziare a separarsi dall’oggetto, pur temendone la perdita, per un tempo più lungo. Questo non significa che il bambino non ne abbia più bisogno, però sta ad indicare una sua maturazione psico-affettiva, una maggiore consapevolezza di sé nello spazio che lo circonda e una maggiore autostima.

Quasi quotidianamente come educatrice mi sono ritrovata in situazioni nelle quali gestire l’oggetto transizionale e mi sono resa conto che i bambini con madri serene e tranquille, non ossessive nel loro rapporto coi figli, meno necessitavano della presenza di questo oggetto. Il motivo lo possiamo ricondurre al fatto che quando un bambino ha delle risposte congrue alle sue richieste sviluppa un senso di fiducia nella persona di riferimento tale da fronteggiare anche le brevi separazioni senza ansia e angoscia.

Quando un bambino sente che la persona di riferimento è salda e sicura e che lo sostiene nel suo cammino verso l’autonomia sviluppa un senso di autostima che lo porta ad interagire con lo spazio attorno con sicurezza.

Tornando all’oggetto transizionale, quando un bambino arriva in un luogo dove sono presenti altri bambini più o meno della stessa età con in mano un oggetto portato da casa, subito diventa magnetico. Sono tutti attorno a lui, lo guardano, alcuni allungano una mano per toccare l’oggetto altri lo afferrano e cercano di trarlo a sé. In tutto questo il bambino può reagire in diversi modi, c’è chi si scansa di lato, chi dice “NO MIO!!!” chi si volta verso l’adulto, chi si mette a piangere. Ogni mattina ogni educatrice/tore di asilo nido si trova in questa situazione, una, due, tre, enne volte.

Chi lavora in ambito educativo è preparato a queste situazioni, ne conosce la genesi e l’evoluzione ed è preparato a reagire con le dovute modalità. Sapendo che questo oggetto è importante lo si tutela come il bambino a cui appartiene e glielo si custodisce perché sia disponibile per lui al momento del bisogno.

Fonte: Dispense, percorsi esperienziali