Frankly, my dear, I don’t give a damn!

Recentemente ho rivisto un caro amico e la sua famiglia. Marito, moglie, 2 figli adolescenti, un mutuo.

Fino a poco tempo fa anche 2 lavori decentemente pagati, una macchina, attività sportive per i figli, un coniglio nano, le vacanze al mare, qualche gita fuori porta, di tanto in tanto una pizza.

Una vita normale, con qualche corruccio per i conti che potevano non tornare per un imprevisto ma che, alla fine dell’anno, raggiungevano il loro equilibrio e consentivano anche di metter via qualcosa.

Una vita da italiano medio. Finché…..

Finché la crisi del settore tessile e l’immigrazione con una concorrenza di mezzi – e di prezzi – spietata hanno messo in ginocchio la produzione industriale della zona.

Marito, moglie, 2 figli adolescenti, un mutuo e il coniglio nano di casa non sono cambiati.

Ma lo stipendio è diventato prima uno, poi più piccolo. Il lavoro è diventato prima uno, poi addirittura da reinventare.

Addio alle attività sportive, alle vacanze estive, alla pizza ogni tanto.

Si rivede anche la spesa, e la composizione di pranzo e cena: dentro pane, patate e pasta, fuori la carne rossa, il pesce, le merendine.
Le verdure arrivano ancora a tavola, perché i miei amici hanno la fortuna di abitare in una zona con una profonda vocazione agricola.
Alla macchina rinunciare non si può perché la scuola non è proprio vicina, perché anche l’autobus costerebbe di più e sarebbe un costo aggiuntivo, perché al lavoro bisogna comunque andare.

Ma le ambizioni, a quelle si è dovuto rinunciare; anche i ragazzi hanno dovuto e ad una età in cui forse è difficile capire appieno il perché.

Quindi si è rivisto anche il percorso di studio: perché un liceo non ti da un mestiere, perché c’è bisogno di mettersi in pista presto per restare a galla, e una scuola professionale potrebbe consentirlo….. perché  così c’è la speranza di poter trovare lavoro ovunque, i confini italiani sono diventati una barriera da sorpassare per vedere orizzonti migliori.

Una famiglia alla quale la crisi, il mutuo, l’immigrazione e il costo del lavoro sproporzionato verso l’offerta senza scrupoli, con la complicità di uno stato assenteista e incapace di capire e concepire il senso del welfare, ha TOLTO IL TENORE DI VITA.

Ha tolto in parte anche la dignità, diciamocelo. Perché i “NO, non possiamo” sono diventati sempre di più, perché a Natale diventa difficile anche pensare di fare 200km per rivedere la famiglia di origine, ché tra benzina ed autostrada e la vecchia auto che non può sforzarsi….. si deve restare a casa.

Ecco io mi chiedo: il tenore di vita, perché va garantito ad alcuni, oltremodo, oltremisura, oltre ogni soglia di tolleranza e dignità, e viene invece preteso da alcun* in nome di una genitorialità che pare abbiano solo loro…..

E poi lo stesso concetto è dimenticato, annullato, deriso….. si chiedono solo sacrifici ad altre famiglie, ad altre persone, ad altri ragazzi, ad altri bambini che devono solo capire, perché… “è la situazione congiunturale, è la vita, è la crisi”.

Due pesi, due misure, una per chi è di un sesso, una per chi è di un altro… una per chi è biondo, una per chi è nero?
Non vi sembra un film già visto?

Certo, immagino che l’obiezione più ovvia è che comunque questa è (ancora) una famiglia unita, che si ritrova, che si sostiene…

Sicuri?

E se vi dicessi che l’unico lavoro a disposizione impone turni, per cui i genitori non si incontrano quasi più… che chi dei 2 della coppia non lavora stabilmente si è rimboccat* le maniche e accetta ogni mansione fosse pure per qualche ora, sovvertendo ordine, abitudini, riducendo i tempi di condivisione?

Cosa impone la Legge, per queste famiglie?
Quella stessa Legge che determina che ai minori va garantito lo stesso tenore di vita?
Rinnega sè stessa, è faziosa, partigiana, di sicuro non è uguale per tutti.

L’unica cosa che ne ricavo, da questo racconto, è che la nostra MADRE patria è solo capace di dire:
“Frankly, my dear, I don’t give a damn!”

Siamo in Europa, baby.

EMMY G.